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Nino D’Antonio

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Sorrentino ci restituisce attraverso questo ciclo la violenza, i conflitti e le angosce di una società alla perenne ricerca di se stessa. E lo fa attraverso una narrazione visionaria e realistica insieme, dove l’incantamento che suscita il colore – e con esso il traslato della metafora, del simbolo, dell’allegoria – smorza in apparenza – ma solo in apparenza – la crudezza del dramma. […]    

Una tecnica ( ma è poi giusta definirla così?) che non è più del nostro tempo, e che pure Sorrentino sente propria per quella amorosa e sofferta confidenza maturata nello studio del Seicento napoletano, da Caravaggio a Ribera. Un esercizio appassionato e devoto, fatto di analisi ma anche di comparazione con le conquiste più felici della moderna figurazione. Sicché gli esiti risultano quanto mai personali, pur nell’innesto sulla grande  tradizione seicentista di un nuovo modo di intendere il rapporto spazio-immagine.

Nino D’Antonio

Dal testo in  catalogo della mostra,  Ludi di Maggio Palazzo Reale, Napoli 1992

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