Miro Silvera

Grandi tele come teatri di guerra, guerra di creature mutanti di volti e di corpi in via di trasformazione, dove la natura umana si contamina con l’animale e il vegetale, dove escrescenze fioriscono sulla terra del mito, dove gesti arrestati e grida silenziose alludono a un leggendario altrove che non si vede, dove i colori lottano sontuosamente per prevalere, e dove l’antico si fa postatomico, ineluttabilmente moderno. E’ la pittura generosa di Vincenzo Sorrentino, più che contemporaneo – quindi transitorio e soggetto alle fragili mode – travalicante e moderno appunto, perché sarà moderno anche nel prossimo secolo, se mai uno ve ne sarà. Le sue rappresentazioni neobarocche scavalcano il tempo per essere raffigurazioni di un Olimpo cavalleresco dove gli dèi hanno lasciato il posto agli esseri nati dopo le contaminazioni nucleari. Esseri in via di metamorfosi confondono sui corpi generi e sessi avvicinandosi sempre di più alla quiete di un unico e babelico giardino dell’Eden dove tutto sembra destinato a fondersi in proliferazioni fantastiche, la definitiva fioritura del mondo. Raramente ho trovato nella pittura di oggi un tale sapiente uso del colore, e in questa pittura “sorrentiniana” vedo un ponte che può superare l’ultimo secolo per intero per ricominciare una nuova grammatica saldata al valore dell’antico.
Non recupero, ma rifondazione.
Miro Silvera, dal testo Le tigri dell’ira, nel catalogo della mostra Blu Innocente, Reggia di Caserta, 1998
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