Mario Pomilio

Mi confessava una volta Vincenzo Sorrentino che ciò che soggiace alla sua visione del mondo e guida in sostanza il suo lavoro è una sorta di sentimento millenaristico, lontanamente analogo a quello dei pittori che a suo tempo dipingevano i Trionfi della Morte forse per esorcizzare la propria angoscia. Ed è a questa luce – a condizione naturalmente di non retrodatare qualcosa che va letto in chiave di assoluta modernità – che io proporrei di considerare le sue tele e il complesso giuoco di significati e di simboli che vi s’instaura. C’è nella sua pittura il senso minaccioso d’un’ immanenza, anzi come la profezia d’una possibile apocalissi. C’è l’angoscia d’un mondo che oltrepassato il livello di guardia, va verso il franto e l’adulterato ed è al rischio di partorire mostri. C’è il tema dell’ordine sconvolto, della creazione sinistramente insidiata e d’una violenza che sottintende la tecnologia indiscriminata e le odierne megalopoli e contamina la realtà umana e naturale generando forme di regresso, caratterizzate dall’orrore. […]
Per significare tutto ciò Sorrentino procede a un’ardita operazione associando a «citazioni» di grandi e ben riconoscibili pittori del passato, che egli ripropone dal versante dello spettrale e del macabro, invenzioni di gusto ultramoderno latamente ascrivibile all’area del neo o del post-figurativo ( tanto per fornire dei sommari riferimenti che non devono far dimenticare l’originalità della sua ricerca), in maniera da rendere il senso del deturparsi delle forme e dell’intimo corrompimento della realtà. Il «racconto» contenuto nel trittico Un pessimo lunedì, con l’aria di discrezione che lo domina e con l’idea sottesa dell’irriducibilità del nostro odierno universo a registri unitari, è in tale direzione da considerarsi esemplare.
Dal testo nel catalogo della mostra Un pessimo lunedì, Accademia Pontano, Napoli, 1984
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